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RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto

RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto

23.12.2011
RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto

Riportiamo un articolo della brava collega Anna Guardavilla pubblicato oggi su Puntosicuro, che illustra le motivazioni per cui al RSPP della Thyssen sono state attribuite anche responsabilità dirigenziali (quale “dirigente di fatto“). Buona lettura!

La qualificazione dell’imputato C. (RSPP e responsabile dell’area EAS) quale dirigente di fatto

Di grande interesse all’interno della sentenza della Corte d’Assise di Torino sul caso ThyssenKrupp risulta la sezione dedicata alle “Posizioni di garanzia” e, ancora più in particolare, il paragrafo (13.4) – in essa contenuto – dedicato alla posizione del “dirigente con funzioni di responsabile dell’area Ecologia, Ambiente e Sicurezza e di R.S.P.P. dello stabilimento di Torino” (da qui in avanti, il “C”).

La Corte ricostruisce il ruolo del C. partendo dall’organigramma aziendale ma poi sottoponendo tutte le risultanze al vaglio dell’effettività.

Come si legge in sentenza, infatti, “C. risulta, nel già indicato organigramma aziendale in sequestro, come “responsabile” dell’area EAS (nominato nel 1999 […]); non risulta invece, agli atti, che C. rivestisse il ruolo di “dirigente”.” Questo sotto il profilo della forma ma non, come vedremo più avanti, sul piano della sostanza.

Per quanto attiene invece al suo ruolo di RSPP, esso – precisa la Corte – “è parimenti confermato da C., che durante il suo esame ha riferito che “la mia funzione era… quella di Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione”, aggiungendo di essere stato nominato […] nel 1995. Proprio in quest’ultima funzione C. è citato sia nel documento di valutazione del rischio, sia nel piano di emergenza e di evacuazione”.
C. non risulta essere, cosi come invece indicato nei capi di imputazione, “dirigente”; rivestiva, secondo la documentazione in atti, il ruolo di “responsabile” dell’area Ecologia Ambiente e Sicurezza come impiegato.”

Tuttavia, mediante una lettura sostanzialistica operata dalla Corte rispetto al ruolo concretamente svolto dal C., quindi sulla base del principio di effettività che oggi ha trovato una consacrazione nell’art. 299 del D.Lgs. 81/08 ma che anche prima dell’entrata in vigore di tale norma è stato costantemente applicato dalla giurisprudenza e ha da sempre rappresentato un principio cardine dell’ordinamento prevenzionistico, l’imputato è stato qualificato dal Giudice di Torino come “dirigente di fatto”.

Sull’esercizio di fatto della mansione di dirigente, si veda anche Cass. Pen., Sez. V, 5 aprile 1996 n. 3483: “se l’ordine di eseguire quel lavoro è stato impartito dal X, il quale per farlo eseguire, si è avvalso anche della squadra di pronto intervento […] era il X che, ingerendosi, assumendo di fatto una determinata mansione, la mansione di dirigente, avrebbe dovuto accertarsi che il lavoro venisse eseguito nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non affatto soliti ad eseguire quel lavoro per quel che emerge dalle due sentenze di merito, la scelta tra una scala sotto misura e un elevatore elettrico destinato a ben altre cose e non di certo ad innalzare delle persone sino a m. 3,50 dal suolo.”

Gli indici dai quali viene desunta la dirigenza di fatto di C.

Tornando alla pronuncia della Corte d’Assise di Torino, risulta estremamente interessante a questo punto analizzare quali siano gli indici valorizzati come tali dalla Corte sulla base dei quali è stato ritenuto che tale soggetto fosse dirigente di fatto. Come sempre tutto ciò passa attraverso la verifica dei poteri concretamente esercitati.

Infatti, prosegue il Giudice di Torino: “la Corte deve però osservare che C., nella sua veste di “responsabile” di quel servizio, operava, di fatto, come dirigente. Con poteri indiscutibilmente gerarchici e decisionali nei confronti dei suoi diretti sottoposti […] tutti citati e qui da ricordare in particolare anche sul loro rapporto di sottoposizione gerarchica a C. per tutta l’area a lui affidata, sia nel settore “ecologia” ( depurazione acque), sia nel settore “sicurezza” ed emergenza antincendio. A titolo di esempio, si può qui riportare come risponde G. alla domanda su chi l’avesse incaricato di svolgere le stesse mansioni di L. dopo le dimissioni di quest’ultimo: “C…non mi ricordo di preciso…comunque se vuole la frase…non la ricordo, mi ha solo detto che c’era da fare anche quello e se me la sentivo…la gestione del contratto con [la Società X], le ispezioni alle linee…e le radio e…nel senso, la gestione della squadra di emergenza non la metto in conto con la A.S.P.P. (Addetto Servizio Protezione Prevenzione: incarico prima svolto da L. e poi da G., n.d.e.) perché già facevo ecologia”.

Tutto ciò per quel che riguarda i poteri gerarchici, che quindi venivano di fatto esercitati. Proseguendo nell’analisi degli altri poteri che devono essere concretamente esercitati da un soggetto perché possa essere considerato dirigente sulla base dell’effettività, la Corte prosegue: “ma anche con poteri decisionali manifestatisi ufficialmente all’esterno: è sufficiente, a questo proposito, ricordare il già ampiamente citato “ordine” […] intitolato “modifica del piano di emergenza interno, emesso proprio da C. da lui inviato a[i colleghi] del seguente tenore: “in allegato le nuove disposizioni sul piano di emergenza. Se ritenete necessario, sono disponibile ad effettuare una riunione con tutti i sorveglianti per chiarire ulteriormente le modifiche in oggetto”; in allegato a tale e-mail, troviamo la “Comunicazione interna”, avente ad oggetto appunto: “modifica del piano di emergenza interno” del seguente tenore: “A seguito delle dimissioni dei Capi turno manutenzione, è stato necessario modificare il piano di emergenza interno. In particolare è stata data la responsabilità del piano di emergenza al capo turno produzione. Come riportato sulla procedura n. 241 “PIANO DI EMERGENZA ED EVACUAZIONE DELLO STABILIMENTO DI TORINO” il capo turno diventa il responsabile dell’emergenza. Pertanto i sorveglianti come tutti coloro che fanno parte della squadra in caso di emergenza dovranno far riferimento e prendere disposizioni dal capo turno di produzione ed effettuare quanto riportato nella procedura stessa. Nei casi in cui, per ragioni d’intervento, su disposizione del capo turno, un sorvegliante dovrà solertemente aprire le porte di accesso alle gallerie”.”

E ancora, aggiunge la Corte d’Assise: “oltre a tale documento – di per sé, ad avviso della Corte, dirimente in punto “dirigente di fatto” come qualifica di C. – è emerso nel corso del dibattimento, che l’imputato C. svolgeva, nella materia sicurezza sul lavoro, quella che qui più rileva, mansioni operative anche di carattere decisionale, come “braccio destro” dell’imputato S. [il direttore di stabilimento, n.d.r.], il quale ultimo l’aveva anche “delegato” ad occuparsi della materia sicurezza sul lavoro (v. delega in atti, senza potere di spesa […]): ulteriore elemento che, conferendo a C. ampi “poteri” in materia, ne conferma e ne rafforza il ritenuto ruolo dirigenziale “di fatto”.”

Interessantissimi risultano poi gli altri elementi da cui viene desunta tale posizione di garanzia: “C. si era tra l’altro occupato, in prima persona, dei lavori necessari per l’ottenimento del certificato di prevenzione incendi (v., in atti, e-mail da C. a M., P. e S. ovvero solo a P., tutte relative a quei lavori ed ai relativi importi, inviate i 16/7/2003, 24/3/2004, 20/7/2006: quest’ultima anche in risposta alla precedente compagnia assicurativa […]: infatti il periodo è successivo all’incendio di Krefeld, v. sopra), della procedura per il D.Lgs 334/99 (ricordiamo qui la presenza, anche di C. oltre che di S., alla riunione conclusiva del CTR, come “rappresentanti aziendali” v. sopra), aveva seguito le visite delle assicurazioni nello stabilimento […]. Tanto che C. aveva redatto egli stesso, con l’ausilio del consulente […], il “documento di valutazione del rischio” e del “rischio incendio” (v. nel capitolo relativo, anche per il “merito” della valutazione) per 1o stabilimento di Torino, documento poi, come si è visto, firmato da S. e necessariamente, trattandosi di incombente indelegabile – “fatto proprio” da E. durante il suo esame […]. D’altronde 1o stesso C., nel corso del suo esame, ha più volte affermato che si era trovato a dovere “gestire” (insieme a S., suo “datore di lavoro”), nello stabilimento di Torino, una situazione “così”.”

Le ricadute in termini di responsabilità dello svolgimento di fatto del ruolo di dirigente

Non devono sfuggire le importanti ricadute in termini di responsabilità di tale ricostruzione.

Abbiamo detto che dalle circostanze richiamate viene desunto l’esercizio di veri e propri poteri di “gestione” da parte del C.
Ebbene, sulla base di esse la Corte ha attribuito concretamente le responsabilità e di conseguenza le pene, giungendo alla conclusione che “sono destinatari degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro” nel caso di specie, e quindi responsabili, “come dirigente con funzioni di Direttore dell’area tecnica e di servizi il M., come dirigente direttore dello stabilimento di Torino il S., come dirigente con funzioni di responsabile dell’area Ecologia, Ambiente e Sicurezza dello stabilimento di Torino il C.” (Cap. 13 della sentenza, “Le posizioni di garanzia”).

Dunque C. è stato considerato dirigente esattamente al pari degli altri dirigenti imputati e condannati, ovvero al pari del direttore dell’area tecnica e del direttore dello stabilimento, e come tale giudicato.

In termini di pene, al pari del dirigente S. (direttore di stabilimento) il C. è stato condannato alla pena di 13 anni e 6 mesi di reclusione, cui si aggiungono le “pene accessorie” – conseguenti all’applicazione anche dell’art. 437 c.p. (omissione dolosa di cautele antinfortunistiche che, lo ricordiamo, rappresenta un reato doloso appartenente alla categoria dei delitti) – dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per 3 anni.

Le carenze nello svolgimento del ruolo di RSPP

Le conclusioni della Corte d’Assise a questo punto vanno nella direzione non solo di sancire l’esercizio del ruolo di dirigente di fatto da parte del C. ma anche di fotografare e sottolineare con forza la speculare mancata attuazione dei compiti propriamente attribuitigli come RSPP, con tutte le responsabilità a ciò connesse.

Conclude infatti la Corte: “ne consegue, da un lato, l’affermazione secondo la quale, ad avviso della Corte, anche l’imputato C. si trova in posizione di garanzia, quale destinatario delle norme antinfortunistiche, nel suo ruolo di dirigente “di fatto”; ciò in forza del principio di effettività che permea la materia della sicurezza sul lavoro, principio indiscutibile e che, come abbiamo già esposto (v. sopra), è divenuto legge nella definizione del “datore di lavoro” con le modifiche apportate al D.Lgs. 626/94 dal D.Lgs. 242/96 e che, nel caso del “dirigente”, è divenuto legge – successivamente ai fatti di cui al presente processo – con il D.Lgs. n. 81/2008, art. 2 lettera d) […].
Ne consegue, d’altro lato, secondo quanto in questo paragrafo brevemente esposto, ma richiamando i precedenti capitoli sulle condizioni di lavoro, l’affermazione secondo la quale, ad avviso della Corte, l’imputato C. ha completamente abdicato ai compiti che erano a lui stati affidati come R.S.P.P., secondo le relative norme di cui al D.Lgs 626/94 e in particolare a quella, fondamentale, di: “prestare ‘ausilio’ al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori (cosi Corte di Cassazione sentenza n. 2814/2011). Egli stesso dichiara: “A me non risultavano assolutamente gravi carenze in quello stabilimento. Le condizioni di lavoro, anche degli ultimi periodi, non si erano modificate rispetto a quelle precedenti. Per cui non ho ritenuto assolutamente di dover informare o segnalare qualcosa”.”

E, ad ulteriore sostegno di tali conclusioni e con particolare riferimento al mancato o comunque carente svolgimento della funzione di RSPP, aggiunge la Corte: “d’altronde C., come ben emerge dalle risultanze complessive del suo esame […], era quasi completamente assorbito dal suo ruolo operativo, di dirigente di fatto, che quindi doveva “gestire” la situazione produttiva, quella “presente” ed esistente, sotto il profilo della sicurezza e dell’emergenza, in collaborazione con S., che identifica con il suo datore di lavoro; e considerava invece le funzioni, tipicamente consultive, di stimolo, di denuncia, di pressione del RSPP in materia di valutazione del rischio e di apprestamento delle misure per eliminarlo o ridurlo solamente come un’appendice subordinata a tale ruolo operativo.”

Anna Guardavilla