(Avv. Dubini – Approfondimenti) La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni derivante da reati penali
La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni derivante da reati penali: necessità e vantaggi competitivi dell’adozione dei modelli di prevenzione, organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001
di Rolando Dubini, avvocato in Milano
PREMESSA
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un regime di responsabilità amministrativa a carico degli Enti per taluni reati commessi, da amministratori, o altre figure apicali, o dipendenti, o altre figure subordinate nell’interesse o vantaggio dell’Ente.
La nuova forma di responsabilità:
– è correlata alla responsabilità per determinati reati cosiddetti “d’impresa” commessi da rappresentanti o sottoposti di un ente, nell’interesse/a vantaggio dello stesso;
– riguarda la persona o l’ente a favore del quale ha riflessi la condotta criminosa;
– è irrogata dallo stesso giudice penale competente per tali reati, e che può quindi applicare le sanzioni penali alla persona fisica che si trovi in posizione apicale o sia sottoposta all’altrui direzione secondo le norme processuali penali (articolo 36 Dlgs 231/2001).
Il Decreto 231 perciò disciplina la responsabilità in sede penale degli enti, che si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito:
1. la responsabilità in sede penale dell’ente si aggiunge –e non si sostituisce– alla responsabilità penale personale dell’autore del reato (soggetti apicali, subalterni e collaboratori-fornitori esterni sotto la direzione e il controllo dei soggetti posti al vertice dell’ente);
2. la responsabilità personale degli autori del reato resta regolata dalle norme del diritto penale;
3. la responsabilità in sede penale dell’ente è regolata, invece, dal D.Lgs. 231/2001.
La norma prevede che a seguito di condanna degli amministratori o dei dipendenti, o altri soggetti vigilati, l’Ente sia chiamato a pagare con il suo patrimonio e con sanzioni interdittive dall’attività, e pubblicazione della sentenza. In una parola, vengono colpiti gli interessi dei soci, il patrimonio aziendale, con conseguente possibile azione di responsabilità verso gli amministratori.
Ai sensi dell’articolo 4 D.lgs 231/2001, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, a meno che nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
I reati considerati (presupposto) del D.Lgs. n. 231/2001 sono: corruzione e concussione, truffa aggravata ai danni dello stato, della regione, della Comunità europea, frode informatica ai danni dello stato, terrorismo o eversione dell’ordine, reati contro la personalità individuale, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, reati societari, abusi di mercato, criminalità organizzata transnazionale, omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme antinfortunistiche, ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro o beni di provenienza illecita, frode informatica, violazione del Diritto d’Autore con strumenti telematici, reati contro l’ambiente, la corruzione privata e altri ancora.
L’art. 6 del Decreto 231 prevede tuttavia una forma di esonero (“esimente”) dalla responsabilità dell’ente qualora si dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali considerati (reati della medesima specie di quello oggetto del procedimento penale).
Il legislatore, nonostante la rilevanza attribuita nel sistema del D. Lgs. n. 231/2001 ai modelli organizzativi, non ne ha imposto ex lege l’adozione: non c’è, in altre parole, alcun dovere legale per un’impresa di dotarsi di un modello di organizzazione, gestione e controllo conforme alle indicazioni del citato decreto: la Cassazione, con la sentenza n. 32626/2006, giudicando una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva imposto all’impresa di dotarsi del modello organizzativo, ha statuito che siffatto provvedimento non è giustificato dal D.Lgs. n. 231/2001 il quale non “…prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità, in altri un sollievo sanzionatorio e che, nella fase cautelare, può portare alla sospensione o alla non applicazione delle misure interdittive…”.
Nonostante l’adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001231 sia formalmente facoltativa, di fatto diviene obbligatoria qualora l’ente voglia avvalersi dell’esimente e non intenda esporsi a responsabilità tali da produrre conseguenze patrimoniali elevate per illeciti commessi da amministratori e dipendenti: in tal senso si segnala la sentenza n. 1774/2008 del Tribunale di Milano con la quale è stata riconosciuta la responsabilità civile di un amministratore executive nei confronti della società ex art. 2392 c.c. per non aver assolto l’onere (dovere) di attivare il Consiglio di Amministrazione a valutare l’adozione di un adeguato modello di prevenzione del rischio commissione dei reati, in presenza di reati che l’adozione del modello avrebbe potuto impedire.
Più in dettaglio l’esonero dalla responsabilità opera qualora la Società provi che:
• l’organo dirigente dell’Ente, prima della commissione del fatto, ha adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione, di gestione e di controlli idonei a prevenire reati della medesima specie di quello verificatosi;
• è stato affidato ad un organismo dell’Ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli nonché di curare il loro aggiornamento (Organismo di Vigilanza 231);
• le persone che hanno commesso il reato hanno agito eludendo fraudolentemente i suddetti Modelli di organizzazione e gestione (che devono essere configurati in modo da rendere assai difficile la loro elusione);
• non vi è stata omessa o trascurata vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza. Il Decreto Legislativo n. 231/2001 prevede inoltre che, in relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione di reati, i Modelli debbano rispondere alle seguenti esigenze;
• individuare le attività a rischio, nel cui ambito esiste la possibilità che vengano commessi reati previsti dal Decreto;
• prevedere specifici controlli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’Ente in relazione ai reati da prevenire;
• individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione di tali reati;
• prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e l’osservanza del Modello 231 (flusso informativo nei confronti dell’OdV 231);
• introdurre un sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello 231.
Le ragioni sostanziali per l’adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo 231: i vantaggi competitivi che ne derivano per l’ente.
I vantaggi di una corretta implementazione sono, tra gli altri, i seguenti:
– evitare il rischio di pesanti sanzioni (pecuniarie o interdittive), con potenziali gravissimi
danni patrimoniali all’azienda, e quindi essere esentati, nei casi previsti, dalla responsabilità (art. 6 del D.Lgs. 231/01),
• evitare agli amministratori, in base a quanto previsto e prescritto dall’art. 2392 del Codice Civile e dall’art. 6 del D.Lgs. 231/01, la responsabilità civile per i danni causati alla società e quella penale per omesso impedimento dei reati;
• ridurre il rischio di commissione di reati;
• controllare i costi diretti e indiretti legati alla commissione dei reati;
• evitare il formarsi di pratiche corruttive all’interno della struttura aziendale;
• ridurre la probabilità di esclusione da appalti e subappalti pubblici;
• tutelare l’investimento dei soci e degli azionisti in relazione al danno economico dovuto all’attuazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 231/01;
• migliorare l’immagine dell’azienda;
• mantenere la buona reputazione aziendale e la fiducia degli stackeholders;
• aprire nuovi mercati e creare o aumentare il vantaggio competitivo attraverso l’adozione di una politica aziendale basata su principi di integrità etica. in uno scenario di business che sempre più premia comportamenti etici (e ciò anche introducendo nel codice etico aziendale concetti quali “Lavoriamo con la volontà di costruire un business sano e destinato a durare nel tempo, rispettoso delle persone, della società e dell’ambiente in cui esso si svolge. Conformità alle leggi, trasparenza e correttezza gestionale, fiducia e cooperazione con gli stakeholders sono i principi etici generali che l’Ente persegue e dai quali trae i propri modelli di condotta, al fine di competere efficacemente e lealmente sul mercato, migliorare la soddisfazione dei propri clienti, accrescere il valore per gli azionisti e sviluppare le competenze e la crescita professionale delle proprie risorse umane;
• mantenere il valore per gli azionisti.
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avv. Rolando Dubini