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Lavoratori nel D.Lgs. 81/08 (e s.m.i.): obblighi e responsabilità anche alla luce della giurisprudenza interpretativa (Corte di Cassazione)

Lavoratori nel D.Lgs. 81/08 (e s.m.i.): obblighi e responsabilità anche alla luce della giurisprudenza interpretativa (Corte di Cassazione)

04.04.2012
Lavoratori nel D.Lgs. 81/08 (e s.m.i.): obblighi e responsabilità anche alla luce della giurisprudenza interpretativa (Corte di Cassazione)

L’art. 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico per la sicurezza), definisce il lavoratore come: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari” (e successive equiparazioni per i casi particolari, dal cui elenco il D.Lgs 106/09 ha tolto i volontari).

La definizione è ampia, potendosi applicare a tutti i lavoratori (anche autonomi e parasubordinati) che, a prescindere dal tipo di contratto e dalla retribuzione, svolgono la propria prestazione all’interno dell’impresa: in questa logica gli obblighi di tutela dei lavoratori da parte del Datore di Lavoro si applicano verso tutti coloro che prestano l’attività nell’ambito dell’impresa, anche nell’ambito di un contratto di appalto, opera o somministrazione (per conto di quel DDL committente).

Già la direttiva n. 391/89/CEE, origine normativa del D.Lgs. 626/94, presentava come imprescindibile la partecipazione e contribuzione attiva dei lavoratori all’adozione delle necessarie misure di sicurezza aziendali: questa indicazione, ora espressa nell’art. 20 del D.Lgs. 81/08 (“Obblighi dei lavoratori“), diventa chiara indicazione del comportamento attento e attivo che deve caratterizzare i lavoratori, delineando un profilo di responsabilità qualora questi non adempiano ai propri obblighi normativi, così come codificati dalle procedure aziendali di sicurezza.

In questa logica si possono delineare due profili di colpa a carico del lavoratore in caso di mancato adempimento ai propri obblighi di sicurezza:
– fonte possibile di responsabilità penale per l’infortunio occorso ad un altro lavoratore;
– esonero della responsabilità del datore di lavoro nel caso che sia egli stesso l’infortunato.

In proposito la Corte di Cassazione (Cass. pen. Sez. IV, ud. 30.1.1979, causa Rettondini) ha affermato che “in tema di evento colposo per infortunio sul lavoro, il giudice penale è tenuto a valutare sia la condotta del datore di lavoro, il quale deve attuare in modo efficiente tutte le misure stabilite dalle apposite norme, sia quella del lavoratore, che deve collaborare alla tutela della propria incolumità, evitando di esporsi senza necessità a situazioni di evidente pericolo, e mantenendo un atteggiamento prudente di fronte a impreviste evenienze“.

La Cassazione si è espressa anche in merito alla responsabilità del Datore di Lavoro anche in relazione all’imprudenza del lavoratore (Cass., Sez. IV, 7.11.1977 – causa Legnazzi) ritenendo che: “l’imprudenza del lavoratore, di per se, non determina l’esclusione della responsabilità dell’imprenditore, a meno che non possa considerarsi una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l’evento

Infatti le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro mirano ad eliminare i rischi che, secondo la Cassazione (Cass. Sez. III, 21.6.1983, causa Cordioli), comprendono anche “quelli conseguenti ad una eventuale imprudenza, disattenzione o imperizia dei lavoratori, la cui incolumità è da tutelarsi sempre e in ogni caso“.

Sempre secondo la Cassazione (Cass. Pen. Sez. IV, 1988): “Le norme antinfortunistiche sono dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare gli incidenti ai lavoratori in ogni caso, e cioè quando essi stessi, per imprudenza, disattenzione, assuefazione al pericolo, possono provocare l’evento“.

Ancora in proposito, la Cassazione (Cass. VI, sent. del 4.5.90 n. 6504) sentenzia che: “Il principio della sicurezza oggettiva si fonda sull’assunto per cui la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità ma anche da quelli che possono scaturire da sue stesse avventatezze, negligenze e disattenzioni, purché normalmente connesse all’attività lavorativa, cioè non abnormi e non esorbitanti dal procedimento di lavoro“.

Ma quando il comportamento del lavoratore è “abnorme” o “esorbitante”?

Per la Cassazione (Cass. 17 settembre 2004, n. 36804): “Il comportamento può essere definito anormale, ‘abnorme’ nelle due ipotesi in cui sia posto in essere dal lavoratore in maniera del tutto autonoma ed in un ambito estraneo alle mansioni affidategli o quando il comportamento rientri nelle mansioni del dipendente ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione della propria attività”.

E non si può non citare un’altra sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. 4, Sentenza n. 3448 del 25/10/2007 Ud. -dep. 23/01/2008) secondo cui: “L’inosservanza delle norme di prevenzione da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell’operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza”.

Diventa però a questo punto importante presentare le indicazioni della Cassazione circa le azioni che devono essere messe in atto da parte del Datore di Lavoro, Dirigente e Preposto per una personale tutela dalle responsabilità collegate agli obblighi normativi prevenzionistici a loro carico.

Essendo infatti in capo al Datore di Lavoro, Dirigente e Preposto precise responsabilità in materia di tutela della sicurezza e salute del lavoratore, la Cassazione (Cassazione penale, sez. V, 10/10/1978, Perani e altro) ha precisato che “le norme di sicurezza dettate a tutela dell’integrità fisica del lavoratore vanno attuate anche contro la volontà del lavoratore stesso, sicché risponde della loro violazione il datore di lavoro che non esplichi la sorveglianza necessaria alla rigorosa osservanza delle norme medesime“.

E’ infatti vero che, ai sensi dell’art. 2104 del cc, il “più generale dovere di diligenza che il prestatore di lavoro deve osservare nello svolgimento delle mansioni, adeguandosi alle disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai suoi collaboratori“.

E infatti, sempre secondo la Cassazione (Cassazione Penale, Sez. IV, 13/7/1990 n. 10272, Baiguini): “in caso di mancata osservanza delle misure di sicurezza da parte di uno o più lavoratori, il capo reparto non può limitarsi a rivolgere benevoli richiami, ma deve informare senza indugio il datore di lavoro o il dirigente legittimato a infliggere richiami formali e sanzioni a carico dei dipendenti riottosi“.

Il Settore Formazione del Comitato Tecnico Professionale GPL – Milano