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Dirigente per la sicurezza nel D.Lgs. 81/08: obblighi, compiti e responsabilità (di Rolando Dubini)

Dirigente per la sicurezza nel D.Lgs. 81/08: obblighi, compiti e responsabilità (di Rolando Dubini)

29.06.2012
Dirigente per la sicurezza nel D.Lgs. 81/08: obblighi, compiti e responsabilità (di Rolando Dubini)

Segnaliamo un articolo in due parti recentemente comparso su Puntosicuro (a questo link e a questo link)

Di seguito il testo dei due articoli, qui opportunamente uniti.

Il Settore Formazione del Comitato Tecnico Professionale GPL – Milano

Decreto 81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro

Analisi dei compiti per la sicurezza del lavoro dei dirigenti in riferimento al D.Lgs. 81/2008 e alla giurisprudenza. Di Rolando Dubini.

1. Dirigenti: compiti e responsabilità.
1.1. Aspetti generali
Il DIRIGENTE è definito dal D.Lgs. n. 81/2008 come “garante organizzativo” della sicurezza e igiene del lavoro:
art. 2 c. 1 lett. d D.Lgs. 81/2008 «dirigente»: “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. La definizione legale non prevede alcun livello contrattuale predefinito, dunque anche un quadro intermedio può essere qualificato normativamente come dirigente ai fini dell’attuazione dei compiti organizzativi e di vigilanza previsti dal Testo Unico di sicurezza del lavoro, ne prevede la disponibilità di un potere di spesa, e nel caso in cui questo manchi, i suoi obblighi dirigenziali saranno obblighi gestionali organizzativi e di riferire a chi possiede il potere di spesa le necessità prevenzionistiche emergenti.
La Cassazione, in un caso, ha efficacemente sottolineato che “la veste di dirigente [la fattispecie riguardava un imputato, direttore dello stabilimento in cui avvenivano le lavorazioni pericolose, cui è stato mosso l’addebito di aver consentito che i lavoratori accedessero usualmente all’interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza, il che causava una lesione personale ad un’operaio] non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri”[Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2008, n. 42136].
La definizione del Testo Unico ex art. 2 di dirigente (ma anche di preposto) “fotografa la posizione dei diversi soggetti aziendali” (Anna Guardavilla) e pone l’accento “sulla natura dell’incarico conferito”, in linea con la conclusione alla quale da tempo era arrivata la giurisprudenza, secondo la quale “tali qualità [di dirigente e/o preposto] discendono dalla loro posizione assunta all’interno delle singole aziende o enti” (Cass. Pen. , sez. III, sentenza n. 14017 del 15/04/05)” [Antonella Guadagni], ovvero può essere individuata facendo riferimento tanto all’organigramma funzionale aziendale quanto alle reali mansioni di fatto esercitate.
La Suprema Corte ha con chiarezza sottolineato che “il tratto caratteristico della figura dirigenziale è rappresentato dall’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide o sull’andamento dell’intera azienda ovvero che attiene ad autonomo settore produttivo della stessa azienda, non essendo richiesto come elemento necessario il fatto che il dirigente venga preposto ed abbia poteri decisionali in ordine all’intera struttura aziendale” (Cass. Sez. Lav. 11.07.07 n. 15489).
Ancora la Cassazione ha definito il Dirigente come colui che: “sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche ricevute dal datore di lavoro, ha comunque i poteri e quindi è in grado di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda e/o ad un suo ramo o settore autonomo, assumendo tutte le corrispondenti responsabilità di alto livello” (Cass. 2005 n. 19903).
Da notare che la figura professionale del dirigente implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello, i quali siano caratterizzati da significativa autonomia e poteri decisionali, che li differenzino qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi (Cass. Sez. Lavoro 19.07.07 n. 16015).

2. Art.18 D.Lgs. n. 81/2008: analisi dei compiti del datore di lavoro e dei dirigenti
L’articolo 18 è in toto obbligatorio per il datore di lavoro, mentre nei confronti del dirigente si modella sulle effettive competenze e attribuzioni, ovvero il dirigente è obbligato ad adempiere solo a quelle prescrizioni che riguardano la sua effettiva funzione in azienda, mentre per le altre che non riguardano i suoi compiti aziendali ne risponde solo se specificamente delegato.

GESTIONE DELLE EMERGENZE E DELL’ANTINCENDIO
L’art. 18 c. 1 lett. b si occupa degli obblighi in materia di gestione delle emergenze e dell’antincendio e nomina dei relativi addetti, che devono essere presenti durante tutto l’orario di lavoro.

La giurisprudenza
La sentenza della Cassazione penale, Sez. IlI – n. 33288 del 13 settembre 2005 (u.p. 28 aprile 2005 – Pres. Postiglione – Est. Franco – P.M. Diff. Favalli – Rie. Anzaghi) è la prima che la Suprema Corte dedica alla squadra antincendio prevista dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 prima e ora dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81.
Le disposizioni oggetto della decisione sono le tre seguenti:
1) l’art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. t D.Lgs. n.81/2008], ai sensi del quale il datore di lavoro «adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’ evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato» e che «tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti»;
2) l’art. 4, comma 5, lettera a), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. b D.Lgs. n.81/2008] prescrive che il datore di lavoro «designa preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza».
3) l’art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] stabilisce che «ai fini degli adempimenti di cui all’art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n. 626/1994 il datore di lavoro designa preventivamente i lavoratori incaricati di attuare le misure di cui all’art. 4, comma 5, lettera a)», ossia delle «misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato». (Per un riferimento all’art. 12 D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] v. Cassazione penale, Sez. IlI – Sentenza n. 36981 del 12 ottobre 2005 (u.p. 24 giugno 2005) – Pres. Savignano – Est. Fiale – P.M. (Conf.) Meloni – Rie. Torchio).
La fattispecie riguarda la condanna dell’amministratore delegato di una S.p.a., avvenuta in primo grado per il reato di cui all’art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008], «perché non aveva provveduto a nominare la squadra antincendio».
Il Tribunale ritenne che «il documento che conteneva l’indicazione del gruppo di primo intervento non costituiva adempimento dell’obbligo in questione perché non erano indicati i compiti dei soggetti in esso menzionati nel caso si fosse verificata una delle situazioni di cui all’art. 4, comma 5, lettere a) e q), e quindi si trattava di una nomina meramente formale, anche perché non era provato che ai soggetti nominati fosse stata comunicata la loro appartenenza al detto gruppo».
[La Cassazione] prende atto che «all’imputato è stata contestata la violazione di quest’obbligo, ossia di non avere validamente ed effettivamente designato una squadra antincendi» e che, «per adempiere all’obbligo di designazione in questione, non può certamente ritenersi sufficiente una indicazione meramente formale, ma occorra anche, quanto meno, che i lavoratori indicati come componenti di tale squadra abbiano avuto notizia di fame parte, ossia siano stati innanzitutto informati di essere componenti della squadra antincendi e di avere quindi il compito di svolgere determinate attività in caso di pericolo, e che occorra altresì che siano stati individuati e precisati i compiti assegnati ai soggetti nominati e che gli stessi siano adeguatamente preparati all’incarico loro affidato».
Constata anche, altresì, che «nella specie non solo non vi era stata alcuna adeguata formazione e preparazione dei tre soggetti nominati come componenti della squadra antincendi, ma che nemmeno erano stati individuati e precisati i compiti loro assegnati e le attività che essi avrebbero dovuto compiere in caso si fosse verificata una situazione di pericolo ed addirittura che i soggetti in questione non erano stati neppure informati di questa nomina sicché essi non erano a conoscenza di far parte della squadra antincendi, con la conseguenza che, in caso di pericolo, non si sarebbe potuto presumere che essi si attivassero per assolvere ai compiti che da tale nomina derivavano», tanto è vero che «il datore di lavoro si era limitato esclusivamente ad inserire nella scheda relativa al gruppo di primo intervento i nomi del direttore tecnico, del capo manutenzione e del magazziniere, senza appunto nemmeno informare i detti soggetti, specificare i loro compiti in caso di pericolo e fornire loro una adeguata preparazione, sicché, se pure di nomina di una squadra antincendi si potesse parlare, si sarebbe comunque trattato di una nomina puramente formale e fittizia, e la semplice predisposizione della scheda non poteva certamente costituire adempimento dell’obbligo in questione».
In questo contesto, la Cassazione chiarisce che «la disposizione di cui all’art. 12, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. c del D.Lgs. n. 81/2008], nel prevedere l’obbligo del datore di lavoro di informare tutti i lavoratori che possono essere esposti ad un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte ed i comportamenti da adottare, non ha nulla a che vedere con l’altro obbligo di designare preventivamente una squadra antincendi, obbligo imposto dalla precedente lettera b)».
Spiega che, «mentre l’obbligo di informare i soggetti nominati membri della squadra antincendi della loro nomina non costituisce altro che un ovvio corollario dell’obbligo di preventiva designazione della squadra stessa, dal momento che non avrebbe alcun senso, e quindi non sarebbe tale, una designazione puramente formale che non fosse neppure comunicata ai soggetti designati, i quali quindi nemmeno sappiano di far parte della squadra e del loro obbligo di attivarsi in caso di pericolo». In altro contesto la Cassazione ha dichiarato che “commette il delitto di omissione colposa di cautele antinfortunistiche previsto dall’art. 451 c.p., oltre che la contravvenzione di cui all’art. 33 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 [ora art. 46 comma 2 D.Lgs. n.81/2008], il titolare di una discoteca il quale abbia predisposto idranti inefficienti e applicato alle porte delle uscite di sicurezza chiavistelli che, pur se apribili, ostacolano una rapida apertura: l’apertura delle porte di sicurezza deve essere sempre ed in ogni caso assicurata con la massima facilità, attesa la loro funzione di consentire il facile deflusso delle persone in caso di emergenza e, quindi, secondo l’id quod plerumque accidit, anche di estrema urgenza”[Cass. Pen. Sez. IV,sent. del 2 marzo 1999, n. 2756, Pres. Fattori – Rel. Malagnino P.M. Meloni (Conf.) – ric. Bergese]

AFFIDAMENTO DEI COMPITI AI LAVORATORI TENENDO CONTO DELLE LORO CONDIZIONI E CAPACITÀ
L’art. 18 c. 1 lett. c prevede l’obbligo di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro condizioni e capacità, in relazione alla sicurezza del lavoro.
“L’interesse dello Stato alla effettiva assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è limitato alla fase che precede l’assegnazione dei compiti ma perdura per l’intero rapporto” ( Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539).
1) Ad esempio secondo la Cassazione penale con sentenza n. 37999 del 3 ottobre 2008, in un caso di incidente stradale occorso al conducente (dipendente poi deceduto) di un autoarticolato fuoriuscito dalla carreggiata, il datore di lavoro è da ritenere responsabile e pertanto è tenuto a rispondere delle conseguenze (delitto di omicidio colposo) per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a condizione che abbia sottoposto il dipendente autista ad un faticoso doppio turno di lavoro e che l’incidente sia causato da stanchezza.
Cass. Pen., sez. IV, 03/10/2008 n. 37999 – “Nel percorrere un tratto di strada provinciale a curva in discesa alla guida di un autoarticolato trainante un semirimorchio a cisterna, il conduttore, per cause imprecisate, perse il controllo del veicolo e, alla velocità di 80 chilometri orari, percorse circa 50 metri in frenata e fuoriuscì sul lato destro della carreggiata, finendo la propria corsa, ribaltato, in una scarpata di oltre 70 metri dal piano viabile”.
Si accertò che “(…) quel giorno, l’autista era stato sottoposto ad un doppio turno di lavoro (aveva preso servizio alle ore 4.05 ed aveva lavorato fino all’ora di pranzo; nel pomeriggio, alle ore 14.00 aveva ripreso servizio e l’incidente si era verificato alle ore 17.45), vietato anche da specifiche disposizioni aziendali”. Il responsabile di quel secondo turno – assolto in primo grado – fu condannato in appello per omicidio colposo, in quanto “(…) la sua condotta colposa era stata ritenuta causa dell’evento”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 08/03/2002 n. 9204 – L’amministratore di una società è condannato per il delitto di lesione personale colposa di un lavoratore infortunatosi a una macchina fresatrice, in quanto “(…) non aveva neppure curato, come invece avrebbe dovuto, che il lavoratore, assunto soltanto il giorno precedente, fosse in possesso della qualifica professionale abilitante all’uso della fresatrice”.
3) “il titolare dell’impresa risponde, per ” culpa in eligendo”, del comportamento del preposto, inesperto alla direzione dei lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l’altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro” [Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n. 7569, Leoni, in Riv. trim. dir. pen. economia 1996, 679 (s.m.)].
4) «Si ravvisa un profilo di colpa generica del datore di lavoro nell’aver assunto per un compito specifico e particolarmente rischioso due giovani inesperti dei rischi connessi al processo di lavorazione loro demandato, senza nemmeno compiere la più elementare indagine sulla loro capacità di svolgerlo nelle prudenti condizioni di assenza di pericolo. Profilo, peraltro, che a ben vedere si colloca nella cornice di quell’obbligo eloquentemente formulato dall’art. 4, comma 5, letto c), D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626: “il datore di lavoro nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (Sentenza n. 14875 del 26 marzo 2004).
5) Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539, sentenza relativa a fattispecie ove il Presidente del Consiglio di Amministrazione è stato condannato per avere violato l’attuale art. 18 c. 1 lett. c) D.Lgs. 81/08 non segnalando al medico competente la necessità di effettuare gli accertamenti sanitari ad alcuni lavoratori neoassunti prima di affidare loro i compiti da svolgere: “la sorveglianza sanitaria non è circoscritta alla fase che precede l’assegnazione alle mansioni del dipendente. Si deve, pertanto, necessariamente concludere, per la natura permanente del reato perdurando l’obbligo della sorveglianza sanitaria anche nel corso dello svolgimento delle mansioni e, quindi, la condotta lesiva dell’interesse protetto sino a quando il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di procedere agli indicati accertamenti” (Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539).

VIGILANZA
L’art. 18 comma 1 lettera f si occupa degli obblighi di Vigilanza:
1) Cass. Pen., sez. IV, 11/06/2008 n. 23505 – “(…) Il datore di lavoro, indipendentemente dalla continuità della sua presenza sul luogo di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera”, e che “(…) il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa”; (…) detta posizione di garanzia non viene meno nell’ipotesi di ‘temporanea’ assenza del datore di lavoro, incombendo in capo ad esso l’obbligo di predisporre tutte le cautele idonee a svolgere funzione antinfortunistica per tutte quelle lavorazioni che, pur potendosi svolgere, in ipotesi, in sua assenza, sono da questi conosciute e debbono essere dallo stesso datore di lavoro preventivamente valutate per la potenzialità di rischio infortunistico ad esse connessa”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 21/06/2006 n. 21450 – La sezione IV afferma che l’amministratore delegato di una s.r.l. e direttore di stabilimento era il “(…) terminale delle decisioni organizzative nell’ambito della unità produttiva” ed aveva, quindi, “(…) l’obbligo di accertarsi della rigorosa osservanza delle disposizioni antinfortunistiche”.
Né “(…) gli giova il rilievo secondo cui egli poteva non essere a conoscenza di quel modus operandi, giacché negli obblighi di sorveglianza al riguardo rientra, evidentemente, anche quello di doverosamente accertarsi di quale sia il modus operandi nello svolgimento dell’attività lavorativa in relazione all’osservanza delle misure antinfortunistiche prescritte dalla legge”. Infatti, la legge “(…) richiede, in proposito, che il titolare della posizione di garanzia si attivi di propria iniziativa, ed a prescindere da rappresentate o meno sollecitazioni altrui, per verificare la osservanza o meno di quelle misure da parte dei lavoratori dipendenti”. Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 1238 del 19 gennaio 2005 (u.p. 26 ottobre 2004) – Pres. Marzano – Est. Palmieri – P.M. (Diff.) Viglietta – Ric. P.M. in c. Storino e altra.

INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO
L’art. 18 c. 1 lett. l prevede gli obblighi di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, ma anche di RLS, addetti antincendio e primo soccorso, preposti e dirigenti:
1) Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 14175 del 21 aprile 2006 (u.p. 9 novembre 2005) – Pres. Coco – Est. Foti – P.M. (Conf.) Mura – Ric. Succhiati. Condannato per il delitto di lesione personale colposa in rapporto a un infortunio subito da un lavoratore dipendente adibito ad una macchina spalmatrice con l’addebito di non aver predisposto i necessari corsi di informazione, il legale rappresentante di una s.p.a. sostiene che “l’operaio aveva ricevuto istruzioni in ordine all’uso delle macchine e alle cautele da adottarsi”. La Sezione IV sottolinea che “con le semplici ‘istruzioni’ sull’uso della macchina e sulle cautele da adottarsi non può ritenersi adempiuto, da parte del datore di lavoro l’obbligo di informazione che la legge gli impone a tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore”: “informazione – aggiunge – “che ha evidentemente portata ben più ampia e specifica rispetto alle generiche e routinarie istruzioni sull’uso della macchina”. La Sezione IV ribatte che “la macchina in questione era soggetta a frequenti inconvenienti del tipo di quelli verificatisi il giorno dell’incidente”, e, quindi, “incombeva sul datore di lavoro istruire espressamente il lavoratore sulle modalità da seguire nel caso di inconvenienti”. E in termini eloquenti esclude che possa “avere efficacia scriminante la circostanza che sul luogo di lavoro era presente un manuale che spiegava le modalità di funzionamento e quelle di manutenzione della macchina” tanto più che “questo manuale, anche per le sue dimensioni, era di difficile consultazione e comunque non poteva essere ritenuto idoneo ad escludere l’obbligo di informazione [e formazione] del datore di lavoro”.
Sempre sulla formazione dei lavoratori la Sezione IV osserva, quanto al dovere di informazione e formazione dei lavoratori, “che risulta insufficiente la mera predisposizione di cartelli che facciano divieto di operare sulle macchine in movimento e di una lettera informativa ai lavoratori che vieti la manomissione o la rimozione delle protezioni presenti sulle macchine”.
Argomenta con inusuale incisività che “gli obblighi che gravano sul datore di lavoro, e ciò vale anche in tema di informazione e formazione, non sono limitati ad un rispetto meramente formale, come può essere quello derivante dalla predisposizione di opuscoli e lettere informative e dalla apposizione di cartelli, ma esigono che vi sia una positiva azione del datore di lavoro volta ad assicurarsi che le regole in questione vengano assimilate dai lavoratori e vengano rispettate nella ordinaria prassi di lavoro”. E sottolinea che “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non corrette” (Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 18638 del 22 aprile 2004).

OBBLIGO DELLA SICUREZZA “IN SÉ” DEL LUOGO DI LAVORO
L’art. 18 c. 1 lett. q prevede la “Tutela popolazione e ambiente esterno”, ovvero l’obbligo della sicurezza “in sé” del luogo di lavoro (sicurezza oggettiva):
1) Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 37079 del 30 settembre 2008 (u.p. 24 giugno 2008) – Pres. Licari – P.M. (Conf.) Bua – Ric. Ansaloni sottolinea che “le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere dall’articolo 4, comma 5, lettera n), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. q dlgs 81/2008], che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro “prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno”, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa”.

3. Nozione di dirigente
Premesso che “l’individuazione dei destinatari degli obblighi di prevenzione dagli infortuni sul lavoro va compiuta caso per caso, con riferimento alla organizzazione dell’impresa e alle mansioni esercitate in concreto dai singoli” (Cassazione sez. IV, n. 927 del 29.12.82), possiamo affermare che la nozione di dirigente, ai fini della corretta applicazione della legislazione prevenzionistica, è definibile grazie al Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, sulla base di quanto desumibile dall’art. 55 del Decreto medesimo, che elenca gli obblighi penalmente sanzionati a carico del dirigente stesso, in rapporto al ruolo effettivamente ricoperto nell’ambito dell’organigramma aziendale, e alle mansioni effettivamente esercitate (principio di effettività).

La sentenza della Cassazione penale sez. III – Sentenza 20 maggio 2003, n. 22036 – [Pres. Vitalone – Est. Franco – P.M. (Parz.diff.) Geraci – Ric. Lazzareschi] fornisce utili precisazioni a proposito della figura del dirigente nel contesto della legislazione di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La fattispecie riguarda la condanna di un direttore dei lavori di una cava, il quale – condannato per il reato di cui all’art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 71 c. 3del D.Lgs. n. 81/2008], per non aver adottato le misure di sicurezza relative al taglio di una bancata di marmo – deduce a propria discolpa che “le norme antinfortunistiche in questione si rivolgono solo al datore di lavoro, mentre egli non aveva tale qualità, né era stato specificamente delegato dal datore di lavoro”.
La Sez. III ribatte che “l’art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art.55 D.Lgs. n.81/2008] espressamente prevede che le sanzioni per le violazioni delle norme antinfortunistiche si applicano non solo al datore di lavoro, ma anche ai dirigenti, e nella specie l’imputato è stato ritenuto colpevole proprio nella sua qualità di direttore dei lavori, e cioè di dirigente”. (sulla responsabilità del dirigente v., Cass. 30 gennaio 2001, Colizzi e altri, in ISL, 2001, 3, 158; Cass. 24 giugno 2000, Rodano, ibid., 2000, 10, 548; Cass. 30 maggio 2000, Borroni, ibid., 2000, 9, 491).

Questa nozione penalistica sostanziale di dirigente ai fini della sicurezza implica anche una circostanza della massima importanza: il dirigente dal punto di vista del diritto penale del lavoro, non è necessariamente colui che opera in base ad un contratto di lavoro subordinato con la qualifica di dirigente, ma è colui che, anche di fatto, svolge compiti prevenzionistici del tutto assimilabili a quelli spettanti, in senso proprio, ad un soggetto che ha il contratto di dirigente.
Viceversa, colui che ha il contratto di dirigente, ma non gestisce lavoratori, e non esercita effettivamente un potere dirigenziale, organizzativo in senso proprio, non è, ai fini del diritto penale del lavoro, un dirigente.
La nozione di dirigente, già presente nell’articolo 4 del D.P.R. 27 aprile 1955 n, 547 (ma anche nei D.P.R. n. 303/56 e 164/56), veniva continuamente ripresa e riproposta in tutto il D. Lgs. n. 626/94, così come modificato ed integrato dal D. Lgs. n. 242, e ora dal D.Lgs. n. 81/2008 come soggetto obbligato, pro parte, a precisi obblighi originari di sicurezza, a prescindere da incarichi formali (che al più possono estendere l’ambito di responsabilità, in correlazione all’estensione dei compiti di prevenzione e protezione pattiziamente individuati).

Come già anticipato nella prima parte di questo articolo, l’art. 2 comma 1 lett. d. ) del D. Lgs. n. 81/2008 individua il dirigente come il garante organizzativo della sicurezza del lavoro: ovvero colui che, nell’ambito dell’obbligazione di sicurezza ripartita innanzitutto tra datori di lavoro, dirigenti, preposti, è, anche di fatto (art. 299 D.Lgs. n. 81/2008) la “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. Per incarico non si intende in alcun modo ne uno specifico incarico in materia di sicurezza del lavoro,ne tanto meno una delega specifica di funzioni antinfortunistiche ne tanto meno un potere di spesa. La definizione legale “fotografa” (Anna Guardavilla) gli organigrammi aziendali consegnando automaticamente “iure proprio” alle figure gerarchiche aziendali compiti prevenzionistici inerenti il normale incarico aziendale, cui potranno, eventualmente, aggiungersi anche deleghe specifiche e attribuzione di peculiari poteri di gestione e spesa.
Dunque il dirigente è, tautologicamente, colui che dirige, che organizza, che esercita una supremazia che si estrinseca in un effettivo potere organizzativo dell’attività lavorativa, nel potere di decidere le procedure di lavoro, e di organizzare opportunamente i fattori della produzione, sempre nell’ambito dei compiti e mansioni effettivamente devolutegli dall’organizzazione aziendale, e dal datore di lavoro, in primis.

Il fondamentale principio di supremazia
Il principio della supremazia è un criterio comunemente utilizzato per individuare il dirigente (ma anche il preposto) in “chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve considerarsi automaticamente tenuto, ai sensi dell’ art. 4 del DPR 547/55, DPR 303/56 e D. Lgs. 626/94 [oggi D.Lgs.n. 81/2008 artt. 2 comma 1 lett. d) e 18], ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo” (Cass. Pen., sez. IV, 20/1/98 e 19/2/98).

La legislazione prevenzionistica, “pur comprendendo tra i destinatari delle norme, dettate in materia antinfortunistica, anche i dirigenti, questi non si sostituiscono di regola alle mansioni dell’imprenditore del quale condividono, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza” (Cass. Pen. Sez. IV 12/5/1988, Fadda in Cass. Pen. 1990, pag. 391 n. 790): vale a dire che i loro compiti derivano direttamente dal normale incarico dirigenziale conferito dal datore di lavoro.
Le responsabilità prevenzionistiche sono dunque concorrenti, e non reciprocamente esclusive.
Una sentenza posteriore (Cass. Pen. Sez. IV 1/7/1992, Boano in Cass. Pen. 1994, pag. 388 n. 285) ha evidenziato nel modo più chiaro possibile che i dirigenti [e i preposti], in senso lato, sono da identificarsi nei soggetti preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell’andamento dei servizi, come i dirigenti tecnici o amministrativi, i capi ufficio o i capi reparto, e che devono predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell’impresa e previste dalle norme, controllare le modalità del processo di lavorazione ed attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa, necessarie per tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che si svolgono in condizioni non previste o non prevedibili dal legislatore.
Dunque un caporeparto può essere ritenuto un dirigente, ad esempio, ai fini della prevenzione, solo qualora la sua supremazia sul lavoratore non si estrinsechi unicamente in un’opera di sorveglianza con un limitato potere esecutivo, ma anche quando ad essa si aggiunga un potere organizzativo, dispositivo, di decisione di procedure di lavoro e di organizzazione dell’attività, dal punto di vista prevenzionistico, tale da porlo in una posizione quale quella definita dalle norme prevenzionistiche citate.

I dirigenti devono, per quanto di competenza (e dunque anche a prescindere da incarichi formali antinfortunistici, e dal possedere poteri di spesa) e nell’ambito dell’organizzazione e del mansionario aziendale, avvalendosi delle conoscenze tecniche per le quali ricoprono l’incarico, vigilare sulla regolarità antinfortunistica e igienica delle lavorazioni, dare istruzioni affinché le lavorazioni possano svolgersi nel migliore dei modi, dunque in modo sano, sicuro e igienico, organizzare la produzione con un ulteriore distribuzione di compiti fra i dipendenti in modo tale da impedire la violazione della normativa e garantire un numero adeguato di preposti in grado di vigilare sull’effettiva osservanza dei compiti prevenzionistici da parte di tutti coloro che sono presenti sul luogo di lavoro, a qualunque titolo

4. La posizione antinfortunistica del dirigente prescinde da incarichi formali e poteri spesa
Anche prescindendo da una formale investitura da parte del datore di lavoro nella posizione dirigenziale con attribuzione dei compiti connessi e delle conseguenti responsabilità, il dirigente (anche di fatto, o anche un preposto che abbia compiti organizzativi e possa disporre l’adozione di procedure di lavoro sicuro) sarà comunque obbligato a rispettare la normativa antinfortunistica, in quanto espressamente menzionato tra i soggetti contitolari dell’obbligazione di sicurezza dallalegislazione prevenzionistica.
La Cassazione [Cassazione penale, Sez. IV- Sentenza n. 11351 del 31 marzo 2006 (u.p. 20 aprile 2005) – Pres. D’Urso – Est. Battisti – P.M. (Conf.) Salzano – Ric. Stasi e altro ] è esplicita: «la stessa formulazione della norma (…) consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega [o da altri tipi di esplicito incarico antinfortunistico]» e «può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza».
Inoltre, commenta Raffaele Guariniello (Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino), “è il caso di aggiungere che… «il datore di lavoro (…) e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono le stesse attività, sono tenuti all’osservanza delle disposizioni del presente decreto»”: “chiara è la finalità di questa norma: precisare una volta per tutte che gli obblighi (…) fanno generalmente capo ai datori di lavoro e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, ai dirigenti e ai preposti” (sulle figure dei dirigenti e dei preposti si vedano Cass, 21 aprile 2006, Bruni, in ISL, 2006,6,378, Cass. 30 dicembre 2005, Oberrauch e altro, W., 2006.5,304; Cass. 7 dicembre 2005, P.C. in e, Pedemonte, M. 2006, 4,251).
La Cassazione ha altresì sottolineato che “sussiste la responsabilità del dirigente regolarmente delegato dal datore di lavoro all’adempimento degli obblighi in materia di sicurezza del lavoro (nella specie il direttore tecnico) con riferimento alle violazioni puramente formali o documentali, per evitare le quali non sono necessari né la collaborazione del datore di lavoro né alcun impegno di spesa; in ipotesi siffatte la delega è efficace anche se non comporti l’autonomia finanziaria del delegato (il principio è stato espresso con riguardo ad una fattispecie in cui al direttore tecnico veniva imputata l’omessa esibizione, in sede di ispezione, del libretto concernente un recipiente a pressione e l’omessa verifica periodica annuale -in effetti gratuita- di altri quattro recipienti)” [Cass. sez. III pen. 5.7.99 (ud. 30.3.99) n. 8489, ric. Volterrani ed altri]
Per inciso, si noti anche che “anche in relazione allo svolgimento di attività di organizzazioni complesse ed ampie, il dirigente non può spogliarsi dei connessi doveri di carattere eminentemente pubblico, e quindi inderogabili, se non a seguito del conferimento di una delega espressa, con l’indicazione dei doveri relativi allo svolgimento dell’attività di controllo e con il conferimento dei poteri e dei mezzi necessari ad adempierli (omissis) ché, anzi, anche in siffatta ipotesi di valida delega, non vengono meno tutti i doveri del dirigente, ma mutano di contenuto, permanendo a suo carico l’obbligo di una attività di coordinamento organizzativo, di direzione e di controllo dell’attività del delegato” (Corte di Cassazione Penale – sezione III, n. 6032 del 22/05/1988: Pedicini ).
In tale senso, «l’ordinamento individua un livello di responsabilità intermedio incarnato dalla figura del dirigente, che dirige, appunto, ad un qualche livello, l’attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all’effettivo potere di spesa» (Cassazione Penale, sez. IV, 8.11.2007, n. 47173)

I Dirigenti hanno il compito essenziale e ineludibile di adottare e attivare (dandovi la dovuta attuazione a seconda dei casi) le misure di prevenzione e protezione che il Documento di Valutazione dei Rischi avrà identificato come necessarie per contenere o eliminare i rischi esistenti nello svolgimento delle mansioni specifiche, e tutte le altre misure, disposizioni, regolamenti, procedure e istruzioni aziendali di sicurezza e igiene del lavoro.

I dirigenti “sono coloro che sono preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell’andamento dei servizi, e che partecipano solo eccezionalmente al lavoro normale, avendo il compito di predisporre anche tutte le misure di sicurezza, controllare le modalità del processo di lavorazione, e vigilare, secondo le loro attribuzioni e competenze, sulla regolarità dell’antinfortunistica delle lavorazioni” (Cass. pen., sez. IV, 1/7/93); occorre comunque sottolineare che (Cass. Pen. Sez. IV 8/6/1987, Dechici) “la ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, sempre necessaria nell’ambito di aziende ad organizzazione complessa, non esonera di per se stessa il dirigente dall’osservanza degli obblighi derivanti dall’art. 4 d.P.R. 547/1955, a meno che con tale ripartizione il dirigente non abbia anche specificamente delegato l’adempimento di tali obblighi ai preposti ai singoli reparti, investendoli di ogni suo potere al riguardo; la delega, in tale ipotesi, dovrà comunque essere provata, non potendo essere semplicemente presunta in relazione alle dimensioni dell’impresa ed alla ripartizione interna dei compiti”.
Inoltre, com’è loro obbligo, contribuiscono alla valutazione dei rischi, segnalando tutte le situazioni pericolose e di carenza prevenzionistica riscontrate direttamente o indirettamente nei luoghi di lavoro.

Tra i compiti della funzione dirigenziale, particolare rilievo assumono i seguenti:
– adozione delle misure di sicurezza (tecniche, organizzative e procedurali per quanto di competenza) imposte dalla legislazione speciale antinfortunistica e di igiene del lavoro ed individuate dal datore di lavoro, e in modo particolare per coloro che siano titolari anche di poteri decisionali e di spesa, quali dirigenti ai sensi dell’art. 2095 del c.c. o in base al principio di effettività;
– valutazione delle capacità professionali dei lavoratori e assegnazione degli stessi a mansioni adeguate, conformemente alle loro capacità e condizioni anche dal punto di vista della salute e igiene del lavoro (art. 4 c. 5 lett. c D. Lgs. n. 626/94: il dirigente “tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”);
– istruzione, informazione, formazione e, qualora necessario per legge o in base alla valutazione dei rischi, addestramento dei lavoratori [art. 36 e 37 D. Lgs. n. 81/2008, e molti altri articoli dello stesso Decreto, che le attività di formazione e informazione devono essere non formali e burocratiche, e le informazioni e istruzioni devono essere effettivamente assimilate dai lavoratori che devono dunque comportarsi sempre in modo sicuro e vigilati affinché attuino quel che è stato loro comunicato al riguardo (chi ha obblighi di sicurezza verso i lavoratori deve “attivarsi e controllare fino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro” – Cass. 6 febbraio 2004 Bixio, e Cass. Sez. IV pen. n. 18638 del 22 aprile 2004 Policarpo];
– adozione di un sistema di controllo e vigilanza, anche tramite un numero di preposti adeguato quantitativamente e qualitativamente (dunque anche dal punto di vista della competenza e della capacità), sull’effettivo rispetto delle misure aziendali di sicurezza tecniche, organizzative e procedurali, da parte dei lavoratori.

Identificazione del dirigente
Tra i criteri tradizionalmente utilizzati per identificare la figura di dirigente possono citarsi sono i seguenti:
– il suo essere l’alter ego dell’imprenditore e/o direzione politica;
– il possesso di una certa autonomia (ma, si basi bene, non indipendenza, altrimenti ci si troverebbe di fronte ad una differente figura aziendale, quella del datore di lavoro) decisionale;
– ampio margine di discrezionalità;
– esercizio delle sue funzioni svincolato da istruzioni;
– possibilità di influenzare la vita dell’azienda e/o dell’ufficio e/o del reparto o del servizio.

5. La figura del dirigente nella sentenza c.d. Thyssen della Corte d’Assise del Tribunale di Torino del 14 novembre 2011
La nota sentenza c.d. Thyssen della Corte d’Assise del Tribunale di Torino del 14 novembre 2011 n. 31095/07 N.R. n. 2/2009 RGA sviluppa il ragionamento in relazione ad un imputato: “Il ruolo dell’imputato MORONI ing. Daniele, come indicato nel capo di imputazione: “dirigente con funzioni di Direttore dell’area tecnica e servizi della THYSSEN KRUPP AST s.p.a.” non è oggetto di contestazione e risulta documentalmente provato (v. organigramma.ppt, estratto dagli archivi informatici in sequestro). Quale dirigente, egli è direttamente investito degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come da art. 1 comma 4 bis D.Lgs 626/94 “nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze”. In data 19/4/2007 l’A.D. ESPENHANH aveva confermato all’ing. MORONI la delega quale “responsabile dell’area tecnica e servizi”; il contenuto della delega consisteva nei “punti” 5.8, 5.9 e 5.10, già indicati (…)”. [Cassazione penale] Sentenza n. 13953/08, che premette di riportare la “consolidata giurisprudenza sul tema”: “Per quanto concerne le caratteristiche della delega, va rilevato che per la sua efficacia ed operatività, è necessario che:
a) l’atto di delega abbia forma espressa (non tacita) e contenuto chiaro, in modo che il delegato sia messo in grado di conoscere le responsabilità che gli sono attribuite;
b) il delegato abbia espressamente accettato gli incombenti connessi alla sua funzione,
c) il delegato sia dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata, in modo che sia messo in grado di esercitare effettivamente la responsabilità assunta;
d) il delegato sia dotato di idoneità tecnica, in modo che possa esercitare la responsabilità con la dovuta professionalità…
La delega da ESPENHANH a MORONI soddisfa i requisiti indicati … alle lettere a), b), d) (sulla competenza tecnica di MORONI, v. infra); per quanto invece riguarda il punto di cui alla lettera c): “capacità di spesa” ovvero, come ricordato nella seconda sentenza citata: “autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate”, la delega da ESPENHANH a MORONI risulta priva della disponibilità economica autonoma, in capo a MORONI, indispensabile perché sia sufficiente a “liberare” (ma giammai dell’obbligo di vigilare e controllare l’attività del delegato) ESPENHANH dalla sua responsabilità quale datore di lavoro: si legge infatti nella citata delega: “Utilizzerà (il delegato n.d.e.), in piena autonomia, il budget a Lei assegnato e qualora questo fosse insufficiente vorrà immediatamente informarmi per gli opportuni provvedimenti”- Ne consegue che l’imputato MORONI è, quale dirigente e con il ruolo sopra indicato, direttamente destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs 626/94 [ora D.Lgs. n. 81/2008], mentre la delega a lui conferita da ESPENHANH sulla materia della sicurezza sul lavoro non è efficace, cioè non “libera” ESPENHANH : quest’ultimo continua ad essere personalmente obbligato e non solo per il residuo obbligo di vigilare e controllare l’esercizio della delega.

In una aurea sentenza, la Suprema Corte ha sottolineato con particolare vigore che in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito “del dirigente cui spetta la “sicurezza del lavoro”, è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l’imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell’impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note” [Cassazione penale sez. IV, 3 marzo 1995, n. 6486, in Grassi, Cass. pen. 1996,1957 (s.m.)].

6. Principio di effettività e individuazione dei dirigenti
Il già ricordato principio di effettività prevede che nelle imprese od enti ad organizzazione complessa e differenziata, “l’individuazione dei destinatari delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro deve essere effettuata non già tenendo presenti le diverse astratte qualifiche spettanti coloro che fanno parte dell’ente o dell’impresa (legale rappresentante, dirigente, preposto, ecc.), bensì invece facendo riferimento alla ripartizione interna delle specifiche competenze, così come regolate dalle norme, dai regolamenti o dagli statuti che governano i singoli enti o le singole imprese” [Cassazione penale, sez. III, 14 novembre 1984, Felicioli e altro, Riv. it. dir. lav. 1986, II,349 (nota)].

Secondo la Cassazione “in relazione alla diversità tra i compiti propri della qualifica di dirigente e quelli dell’impiegato con funzioni direttive, sussiste incompatibilità tra la predetta qualifica e l’esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza gerarchica, anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti (a diversi livelli e con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, restando però salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore” [Corte di Cassazione sez. lavoro, 4 febbraio 1998 Numero 1151].

In tal senso il riferimento al principio dell’effettività ha portato la Cassazione (Cass. sez. IV 5/4/1994 n. 3484, Pozzati ed altro) a considerare dirigente anche il soggetto che, pur non ricoprendo nell’organigramma aziendale tale posizione, aveva di fatto impartito l’ordine di effettuare un lavoro. In particolare si è ritenuto che “chi dà in concreto l’ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce direttive circa le modalità di esecuzione, assume di fatto la mansione di dirigente, sicchè ha il dovere di accertarsi che il lavoro venga svolto nel rispetto delle norme antinfortunistiche, non potendo essere lasciato agli operai la scelta dello strumento da utilizzare”.

7. Il caso del consulente esterno
Il ruolo rivestito dal consulente esterno è assimilabile a quello del dirigente di fatto quando l’autonomia gestionale di tutte le attività demandate allo stesso contribuisce a legittimare la sua posizione di supremazia nei confronti del personale dipendente. L’ingerenza nell’organizzazione del lavoro della società rappresenta nel caso specifico un’estrinsecazione del principio di sostanzialità. (cfr. Cassazione Penale, sez. IV, 14.3.2007 n. 21585).

8. La necessaria qualificazione professionale
Cass. Pen. sez. IV, 6/10/1995, n. 12297: “la responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche , viene meno qualora si faccia coadiuvare da un dirigente all’uopo preposto, persona che deve essere tecnicamente affidabile”.

9. L’obbligo di vigilanza dei dirigenti
L’obbligo dei dirigenti di vigilare, al fine di esigere, come previsto dall’art. 4 d.P.R. 547/1955 prima e ora dall’art. 18 comma 1 lettera f del D.Lgs.n. 81/2008, che i lavoratori dipendenti osservino le norme di sicurezza “non può essere addebitato fino al punto di imporre una presenza continua sul luogo di lavoro, né può essere esteso fino a dovere impedire eventi dipendenti da comportamenti anomali, imprevedibili e commessi in violazione degli ordini ricevuti” (Cass. sez. IV 8/4/1993 n. 3495 P.G. in proc. Di Pergola). L’obbligo è di carattere generale, organizzativo, con la predisposizione di idonee istruzioni e procedure, organizzando un adeguato sistema di sorveglianza tramite preposti idonei. Una volta che il dirigente abbia adeguatamente adempiuto alle proprie citate obbligazioni, sorge in lui, legittimamente, la ragionevole aspettativa che il lavoratore si comporti conformemente agli ordini ricevuti, e in ogni caso senza mai porre in atto comportamenti assolutamente anomali e imprevedibili, estranei alla sua mansione lavorativa.

10. Colpa nella scelta del preposto
Quanto al tema della culpa in eligendo, nella scelta di un preposto che sia tecnicamente idoneo e culturalmente preparato allo svolgimento del compito di vigilare sullo svolgimento sicuro del lavoro da parte dei dipendenti, è principio consolidato che “il titolare dell’impresa [o il dirigente] risponde, per “culpa in eligendo”, del comportamento del preposto, inesperto alla direzione dei lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l’altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro” [Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n. 7569, Leoni, in Riv. trim. dir. pen. economia 1996, 679 (s.m.)].
Nel caso in cui un operaio specializzato, erroneamente ritenuto preposto dal datore di lavoro, “non si adegui alle norme antinfortunistiche e dal mancato rispetto conseguano determinati eventi, il datore di lavoro – oltre che il preposto e i dirigenti, se nominati – risponde di questi eventi ove risulti che, allorché si è verificata quella inosservanza, non si trovava, per impedirla, là dove è stata posta in essere, a meno che non emerga che abbia conferito apposita delega a persona tecnicamente all’altezza, persona, però, che non può essere lo stesso operaio che la norma mira a salvaguardare” (Cassazione penale sez. IV – Sentenza 23 luglio 1997, n. 7245 – Pres. Satta Flores – Est. Battisti – P.M. conf. Calderone – Ric. Sagretti , in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).
Contro tale precisazione non vale l’obiezione che “il datore di lavoro o imprenditore non può essere dovunque”, perché “é agevole, infatti, replicare che il datore di lavoro ha il precipuo dovere di curare, in modo preminente, quel fattore della produzione che è rappresentato dal lavoro e, quindi, dall’uomo che lavora, uomo la cui integrità psico-fisica è, tra i beni o valori costituzionalmente garantiti che vengono in questione nell’esercizio dell’attività economica, quello di innegabile, maggiore spessore”; ne deriva, che “il datore di lavoro o imprenditore, pertanto, deve essere là dove i suoi dipendenti lavorano e se non può esservi per ragioni collegate alla complessità dell’azienda o per altre plausibili ragioni, deve farsi sostituire attribuendo, appunto, apposita delega a persona che ne sia all’altezza” (Cassazione penale sez. IV – Sentenza 23 luglio 1997, n. 7245 – Pres. Satta Flores – Est. Battisti – P.M. conf. Calderone – Ric. Sagretti, in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).

11. Le direttive del datore di lavoro non liberano il responsabile della sicurezza
La Suprema corte ha statuito che “il responsabile della sicurezza sul lavoro non può addurre a propria valida scusa quella di aver dovuto uniformarsi alle direttive del datore di lavoro» (Cassazione Penale, sez. IV, 6.10.2006, n. 33594).

Rolando Dubini, avvocato in Milano