(Avv. Dubini – Approfondimenti) Il principio della sicurezza oggettiva
Il principio della sicurezza oggettiva
di Rolando Dubini, avvocato in Milano, Studio Legale Carozzi-Dozio-Dubini, consigliere nazionale Aias
Le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro “perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivanti da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, pertanto, una condotta dell’infortunato così caratterizzata non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento quando è comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore e all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. Quest’ultimo è però esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, e alle direttive organizzative ricevute” (Trib. Varese, comp. Monocr. – 6.01.2001 dr. Capozzi).
Il principio della sicurezza oggettiva si fonda sull’assunto per cui “la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità ma anche da quelli che possono scaturire da sue stesse avventatezze, negligenze e disattenzioni, purché normalmente connesse all’attività lavorativa, cioè non abnormi e non esorbitanti dal procedimento di lavoro” [Cass. VI, sent. del 4.5.90 n. 6504, ove si precisa che “pertanto, al di fuori di quest’ultima ipotesi, in caso di infortunio sul lavoro originato dalla assenza o dalla inidoneità delle misure antinfortunistiche, nessuna efficienza causale, neppure concorrente, può essere attribuita ai comportamenti, sia pure disaccorti o maldestri, del lavoratore infortunato che abbiano dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza di quelle cautele che, se adottate sarebbero valse a neutralizzare anche il rischio di siffatti comportamenti”].
Dunque “le norme antinfortunistiche sono dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare gli incidenti ai lavoratori in ogni caso, e cioè quando essi stessi, per imprudenza, disattenzione, assuefazione al pericolo, possono provocare l’evento” [Cass. Pen. sez. IV, 1988].
Un conseguenza del principio della sicurezza oggettiva è che “le misure di sicurezza servono anche a salvaguardare i lavoratori distratti o poco attenti per familiarità con il pericolo o poco capaci o, comunque esposti per un fatto eccezionale ed imprevedibile ad un rischio esistente nel tipo di attività cui sono destinati […]. Anche una caduta eccezionale, un malore o simili non escludono il nesso causale tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro, per mancata predisposizione di misure di prevenzione, e l’evento” [Cass. Pen. sez. III, 1984].
E quindi “non sussiste colpa concorrente del lavoratore quando l’infortunio dipende unicamente dalla violazione di legge” in virtù dell’applicazione di una“ chiara logica di garanzia assoluta (c.d. protezione “oggettiva”), diretta ad evitare il sorgere di qualsiasi situazione di rischio ed a prevenire comportamenti imprudenti degli operatori”[Pret. Torino, sent. del 27.10.1983].
In tal senso “quando risulti accertato l’errore grave del dipendente, a seguito di comportamento anormale, non potendosi ritenere sufficiente alcuna cautela atta a tanto scongiurare, deve giudicarsi non punibile il datore di lavoro, per inesigibilità di una condotta non obiettivamente prevedibile” [Cass. Pen. IV, 5.12.88, n. 11973 ].
Secondo la Cassazione, il comportamento può essere definito anormale,“abnorme” nelle due ipotesi in cui:
* sia posto in essere dal lavoratore in maniera del tutto autonoma ed in un ambito estraneo alle mansioni affidategli,
* oppure quando il comportamento rientri nelle mansioni del dipendente ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione della propria attività (Cass. 17.09.2004, n. 36804).
Perciò “l’imprudenza del lavoratore -il quale disobbedisca ad un ordine del datore di lavoro e faccia cose che questi gli ha proibito di fare- non esime il datore di lavoro dalla responsabilità penale, qualora il lavoratore abbia disobbedito eseguendo il proprio lavoro e qualora il sinistro, di cui il lavoratore sia stato vittima, si sia verificato per non aver adottato il datore di lavoro le misure di prevenzione imposte dalla legge o dalla comune prudenza ispirata alla migliore tecnica del momento.
E ciò per la decisiva ragione, posta in evidenza ripetutamente da questa Suprema Corte, che le imprudenze del lavoratore, dovute anche a disobbedienza, non possono non essere previste dal datore di lavoro, il quale, se potrà avvalersi del potere disciplinare, non potrà, però, pretendere, in caso di sinistro, di giustificarsi allegando la disobbedienza, allorché il lavoratore, contravvenendo all’ordine, abbia pur fatto sempre il lavoro assegnatogli e sia rimasto vittima del sinistro per colpa del datore di lavoro, per non avere quest’ultimo posto in essere quelle misure precauzionali che, anche sotto il profilo tecnico, dovevano essere realizzate prima del sinistro” [Cass. Pen., 22.9.2000, n. 9950].
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avv. Rolando Dubini