Percezione del rischio: da cosa è influenzata?

In questo recente articolo parlavamo di “rischio reale” versus “rischio percepito”, sottolineando il fatto che è normale ci possa essere una distanza ed un non allineamento tra i due.
Una persona media, che la psicologia ci indica come soggetto normalmente avverso al rischio, può invece non tutelarsi dal/i rischio/i a cui è realmente esposto sul luogo di lavoro nella misura in cui la sua percezione (consapevolezza) del rischio si distanzia dal rischio reale per tutta una ampia serie di fattori quali -ad esempio- caratteristiche personali dell’individuo (quali: età, sesso, grado di cultura, interessi, grado di conoscenza del problema, contesto sociale, economico e politico), limitata informazione circa il rischio, sopravvalutazione della propria esperienza e competenza lavorativa, esperienze di vita, contesto aziendale non efficace verso la gestione del rischio, colleghi più anziani poco sensibili al rischio, una eventuale bassa probabilità di accadimento del rischio,…e molto altro ancora.
In questo articolo approfondiremo il tema introducendo due concetti psicologici che influenzano in maniera significativa la percezione del rischio.
Oltre ai fattori psicologici approfonditi nel precedente articolo, che influenzano la valutazione personale attribuita ad un rischio professionale o anche “della vita quotidiana”, c’è la necessità di esplorare altri due concetti che spesso vengono trascurati quali il pregiudizio di ottimismo e la distanza psicologica.
IL PREGIUDIZIO OTTIMISTICO
Il pregiudizio ottimistico si riferisce ad una credenza degli individui secondo cui gli eventi negativi hanno meno probabilità di accadere proprio a loro o comunque è legato alla falsa idea di avere il controllo delle situazioni di rischio. Questa falsa consapevolezza è ben descritta dalla frase di C. Zavattini: “Ciascuno nell’intimo del suo cuore è convinto che lui, proprio lui, tra milioni di persone, per un inesplicabile ma fortunato caso, lui non morirà“.
Al contrario, quando invece le persone percepiscono la mancanza di controllo diretto possono diventare molto pessimiste sulle loro capacità di far fronte al rischio, quindi non sentirsi in grado di affrontarlo perché sovrastimano la dimensione del rischio stesso. Inoltre, è più probabile che il pessimismo possa emergere quando le persone hanno avuto una precedente esperienza diretta con gravi esiti pericolosi, anche di tipo ambientale e slegate dal contesto lavorativo.
Alcune ricerche hanno anche suggerito che il pregiudizio ottimistico nella percezione del rischio possa essere correlata all’attaccamento/affetto al luogo di lavoro e/o al contesto ambientale: ciò significa che le persone che sono attaccate al “loro luogo” (sia esso luogo di lavoro, ambientale, sociale, ecc.) ed in esso si trovano bene, possono più facilemente sottostimare la propria esposizione e vulnerabilità al rischio.
Diverse ricerche di psicologia applicata mostrano che le persone più affezionate ai luoghi di lavoro (anche se alto rischio) sono meno propensi ad adottare comportamenti per affrontare il rischio.
LA DISTANZA PSICOLOGICA
In questo contesto il tema della “distanza psicologica” si riferisce alla percezione che i rischi abbiano maggiore probabilità di incidere su luoghi distanti o di accadere in un futuro lontano.
La ricerca su questo fattore è stata principalmente a livello di rischio ambientale, dal quale però possiamo estrapolare informazioni utili da generalizzare e contestualizzare ad altri rischi, come i rischi sul lavoro per esempio.
Ecco che gli studi suggeriscono che le persone tendono a valutare come più gravi i macro rischi su scala più “elevata” piuttosto che non i propri rischi concreti e quotidiani: sulla base di questa falsa pretesa di di invulnerabilità, spesso segue una inazione rispetto alla gestione dei propri rischi lavorativi.
In campo ambientale questo tipo di percezione viene appunto definita come “ipermetropia ambientale”, intesa nel medesimo senso del difetto visivo, che porta le persone a vedere bene i problemi lontani ma non a concentrarsi sui problemi più vicini.
Concludendo: il pregiudizio ottimistico e la distanza psicologica possono essere meccanismi adattivi per la salvaguardia della persona e per la riduzione delle sue emozioni negative (come ansia e paura): dall’altro questi meccanismi possono anche fungere da barriere che impediscono di affrontare e mitigare rischi connessi a qualsiasi attività umana.
Anche questa è una logica che chi gestisce il rischio in Azienda non può trascurare.
Settore Formazione Comitato Tecnico GPL